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Intervista a Marina Barone

Articolo di: Alberto Barina; pubblicato il 07/12/2004 alle ore 10:08:35.

Marina Barone

Cantautrice ed interprete milanese, inizia la sua carriera ancora ragazzina, nei primi anni ’80, esibendosi nel seguitissimo programma di mezzogiorno di Raffaella Carrà: “Pronto Raffaella”; poi la fortunata stagione degli album: “Italian Carnaval Tukano”, grazie ai quali lavora con il “papà di Lady Oscar”, il piccolo, grande mago e genio delle sigle dei cartoni animati: Riccardo Zara, ed infine il grande salto di qualità come sensibile e raffinata autrice, con ben quattro album apprezzatissimi anche dai discografici e dal pubblico nipponico che la definiscono la “Gigliola Cinquetti del 2000”.

Hai iniziato la tua carriera esibendoti in TV nel fortunato programma della Carrà: “Pronto Raffaella”. Cosa c’è e se c’è qualcosa di diverso tra il mondo e il modo di fare televisione di quell’ “epoca” e il mondo e il modo di fare televisione di oggi? Era più semplice allora, vent’anni fa, garantirsi un proprio spazio come artista o ti sembra che lo sia oggi, anche se volutamente oggi te ne stai in disparte?.

La televisione di oggi è basata sul consumismo, sul mordi e fuggi; chiunque accetti di fare o dire cose “ad effetto” fa ascolti e di conseguenza fa televisione. Oggi non fai televisione se hai talento ma fai televisione se porti audience. Nessuno ne ha colpa, e’ solo la conseguenza logica di una società basata su valori instabili. Si dice, non e’ bello ciò che e’ bello… l’importante e’ che venda! Non saprei dire se sia meglio o peggio avere la tv di oggi, mi sembra inequivocabile però che nella tv di oggi ci sia meno arte, dunque tornando alla tua domanda, per “un’artista” e’ molto più difficile oggi.

Il ricordo più bello legato al periodo in cui cantavi e ti esibivi come "Tukano".

Il ricordo più bello, quello che non mi abbandonerà mai, e’ racchiuso in una sensazione legata ad un periodo non lontanissimo quindi non proprio legato al periodo “Tukano”. Ero impegnata in un tour radiofonico per promuovere il mio ultimo prodotto: “Fragili”. Durante un’intervista, nel bel mezzo di una diretta radiofonica tra una chiacchiera e l’altra, mi ero lasciata sfuggire il mio rammarico per non aver scelto un mestiere più vicino al prossimo, avevo confidato di essere in crisi per non aver fatto il medico, per aver scelto un “lavoro” che, anche se bellissimo, non mi permetteva di fare del bene. A quel punto mi e’ arrivata una telefonata strana, una signora tra gli ascoltatori ha telefonato in diretta, e mi ha detto che con le mie canzoni le avevo regalato un pomeriggio meraviglioso, le avevo fatto passare la malinconia, le avevo fatto passare la voglia di togliersi la vita! Era stata particolarmente colpita dal brano “Conta su di te”; mi aveva detto che con il mio lavoro si possono regalare sensazioni che cambiano la vita, mi ha ringraziata tanto. Io non ricordo il suo nome, ma … non mi ero mai sentita cosi importante.

Gli "Italian Carnaval" (tuoi album precedenti alla svolta cantautorale), si caratterizzano per dei lunghi, ininterrotti dance-medley di famosissime canzoni italiane, talvolta afferenti al folklore, altre volte appartenenti all’epoca d’oro degli anni ’60. Raccontaci un po’ i retroscena che hanno portato alla realizzazione di questi album. Cosa accadeva nello studio di registrazione? Registravate i brani così come poi noi li sentiamo cioè uno di seguito all’altro senza interruzioni?

Ricordo ancora con nostalgia la magica atmosfera che regnava in studio durante le registrazioni degli “ITALIAN CARNAVAL”. “L’Harry Potter” della situazione era Riccardo Zara, un grande arrangiatore ed autore, leader del gruppo “I cavalieri del re”. Io e Gianni Panariello, cioè i Tukano, arrivavamo in studio la mattina presto e lì insieme a Riccardo decidavamo gli incroci di voci. Provavamo, cantavamo, scherzavamo e chiacchieravamo tra un panino ed un trancio di pizza ingurgitati sul banco della regia. Abbiamo convissuto per mesi (perchè mesi duravano le registrazioni di ogni ‘carnaval’), incrociando gli argomenti più disparati, dalle frivolezze al rapporto con Dio, abbiamo condiviso gioie e dolori, momenti di vita anche privata consigliandoci e consolandoci da buoni amici. Anche se il ‘Carnaval’ era un prodotto musicalmente leggero e’ stato lungo e laborioso per le sovrapposizioni vocali (non abbiamo utilizzato macchine per doppiare le voci), ma è stata un’esperienza meravigliosa.

Con il brano "Grazie amore" hai partecipato nel 1989 alle selezioni (sezione emergenti) per il Festival di San Remo (era tra l’altro il primo anno dell’organizzazione di Aragozzini). Come mai poi hai deciso di tenerti a debita distanza da San Remo? E qual è ora il tuo rapporto con San Remo come spettatrice? Ritieni che possa essere ancora considerata una vetrina per il lancio e la promozione di nuovi talenti?

San Remo sicuramente serve, essendo una delle poche vetrine televisive canore rimaste, ma credo sia troppo enfatizzato dagli artisti. Le pietre miliari della musica italiana non sono uscite da San Remo, ma sono state scelte, gettonate e rievocate negli anni dal pubblico. San Remo serve a poco se lo vinci (quanti di voi si ricordano il vincitore della passata edizione), figuriamoci a chi passa da meteora. Ammetto che comunque la partecipazione al festival possa avere un fascino particolare, capace di incantare chiunque abbia a che fare con lo spettacolo…una sorta di malattia contagiosa. Io mi ritengo fortunata, caratterialmente non sono mai stata incline a questa malattia, il mio passaggio nella categoria emergenti è stato tanto veloce (mi hanno buttata fuori subito) quanto indolore (mi è piaciuto talmente poco che non ho più sgomitato per tornarci). Mi ero riproposta con poca convinzione, qualche anno dopo, ma non mi hanno scelta …ed io, ricordo, sollevata dal peso, ero partita per le vacanze!

Cherchez al femme

"Cherchez al femme" è stato il tuo primo album in veste di cantautrice che ha avuto un grosso consenso, più dell’Italia, proprio in una terra come il Giappone dove si pensa che la musica italiana non arrivi, o fatichi ad essere compresa; per te invece è accaduto l’esatto contrario. Come ti spieghi questo “curioso fenomeno” o per meglio dire a cosa devi il tuo successo giapponese, visto che poi ti hanno addirittura scritto un brano e la tua voce ha fatto da testimonial per uno spot pubblicitario di una delle più grosse aziende alimentari del Giappone?

Avevo girato la stessa domanda a loro, ai Giapponesi della King Record, l’etichetta che ha deciso di pubblicare i miei dischi in Giappone, investendoci dei soldi … e loro mi hanno risposto che il pubblico Nipponico aveva visto in me il giusto equilibrio tra melodia italiana, voce melodica ma frizzante, immagine tradizionale ma attuale, la "Cinquetti del 2000", insomma. L'hanno detto loro!

A proposito di Giappone, nel tuo secondo album c’è un brano che hai dedicato giustamente a Tokyo, e nel testo ad un certo punto dici: "Era l’anno del serpente, un anno che io ricorderò...". Mi incuriosisce molto questo anno del serpente, ce ne vuoi parlare…

Dunque, sicuramente saprai che per gli orientali ogni anno corrisponde ad un animale (un po’ come i nostri segni zodiacali). Nel 1990, durante il mio tour in Giappone, andai a visitare Kyoto, che è la città più vecchia e più caratteristica del Giappone, e tra templi e musei, rimasi colpita da un quadretto in legno tutto lavorato con lacche rosse ed oro che raffigurava un serpente. Mi spiegarono appunto che rappresentava l’anno del serpente; il 1990 non era l’anno del Serpente bensì l’anno del Cavallo, ma per me fu talmente folgorante l’amore per quel quadretto che è l’anno che mai dimenticherò (come dico nella canzone), cioè l’anno del mio viaggio e della pubblicazione del mio primo disco in Giappone è e rimarrà sempre… "l'anno del serpente".

Quanto oggi ti senti ancora "Cherchez la femme"?

Nella vita fortunatamente si cambia, si cresce. Quando avevo vent’anni la vita era o solo bianca o solo nera, oggi a quaranta ne apprezzo anche i grigi e probabilmente a sessanta riuscirò ad assaporarne tutti i colori. Il testo di “Cherchez la femme” apparentemente sciocco, si muoveva tra le varie personalità che in ogni donna inconsapevolmente coesistono, anche nel quotidiano,. Credo nell’amore, credo nel matrimonio e sono convinta che la donna sia il centro della famiglia. Ogni giorno una donna si ritrova ad essere moglie, madre, compagna, figlia, sorella, amante, amica, il filtro di ogni malessere, di ogni debolezza, l’ago della bilancia, proprio come nella mia canzone, e questa e’ una grande responsabilità, ma anche (quando il risultato e’ una famiglia serena) il migliore traguardo raggiungibile.

Testi decisamente più poetici, più impegnati, più introspettivi caratterizzano gli album successivi a “Cherchez la femme”, ed in particolare emerge spesso in questi la figura della donna, ma soprattutto tu canti storie di donne, e mi riferisco a canzoni come “Caldarrosta”, “Anna”, “Fragili”, “Le madri degli uomini”. Quanto è importante e quanto conta parlare delle donne in una canzone?

Proprio per le molteplici sfaccettature, parlare del mondo al femminile può toccare svariati argomenti, immagini e sapori che, anche se personalmente lontani, legano tutte le donne ad una linea sottile: la linea dei sentimenti, della sensibilità, di quel sesto senso che solo le donne hanno. Non mi ritengo femminista, ma sono felice che nelle mie canzoni altre donne possano ritrovarsi. Noi femminucce purtroppo facciamo meno “comunella” veicolate da insicurezze ed invidia, siamo meno disponibili tra amiche, dunque se una canzone può farci legare un po’ di più... ben venga!

A proposito di donne poi…molte tue colleghe cantautrici pur avendo raggiunto una certa notorietà mi sembra fatichino, ed abbiano faticato un po’, ad imporsi all’attenzione del pubblico, a far passare i loro messaggi, le loro canzoni (soprattutto per quelle come te che decidono di cantare delle cose abbastanza impegnate e non i soliti “sole, cuore, amore”, etc…) per i tuoi colleghi “maschietti” la cosa invece appare più facile, più immediata. Come mai? Pare in sostanza che ci sia una sorta di fantasmatica convinzione per cui il mestiere di cantautore sia considerato da molti (forse anche nell’ambito stesso del mondo dello spettacolo e della televisione) di quasi assoluta pertinenza maschile e che la voci delle donne siano quasi delle “voci di serie B”. Insomma, pare ci sia molta più attenzione per ciò che può scrivere e cantare un cantautore piuttosto che una cantautrice. Che ne pensi al riguardo? Avverti o hai avvertito anche tu questa sensazione? Esiste questa discrasia?.

Anche se non eccessiva però esiste, d’altra parte esiste anche la credenza che sia più difficile trovare donne pensanti, figuriamoci che sappiano addirittura scrivere!

Dacci una sorta di prontuario, di "regole", una specie di "dieci comandamenti" per essere una brava cantautrice (e lo chiedo a te che brava lo sei davvero!!!).

Grazie per il complimento, ma credo non ci siano regole da seguire, come in tutte le cose e’ molto importante essere se stessi, essere veri, genuini. Far emergere noi stessi al meglio, solo essendo se stessi si e’ credibili e si corre il rischio di essere anche originali, perchè unici. Forse l’unico consiglio che mi sento di dare a quanti stanno iniziando a “scrivere” e’, cercare di essere chiari, semplici, introspettivi si, ma meno astratti, meno complicati possibili. Cercare di mettere su carta immagini, fotografare le sensazioni, ecco questo e’ l’uovo di Colombo, far vedere agli altri ciò che abbiamo visto noi, tramite le nostre parole. A volte far arrivare i concetti più semplici e’ la cosa più difficile, prendiamo lezione dal grande Mogol.

Ciò che mi ha sempre colpito positivamente ascoltando i tuoi cd, è la quasi totale assenza (a parte forse nel primo) di brani che hanno per argomento il sentimento, l’amore tra uomo e donna inteso nelle sue molteplici sfaccettature. Come mai? E’ una scelta voluta o casuale?

Credo casuale, non c’è bisogno di dire amore, per parlare dell’amore. Le nostre azioni parlano d’amore, quando consoliamo un amico, quando aiutiamo un malato, quando accarezziamo un cane, quando perdoniamo. L’amore non è solo il rapporto emozionale che si instaura tra un uomo e una donna, sarebbe troppo riduttivo. L’amore, se è in noi, fa parte del nostro modo di esistere, anche quando siamo soli.

Hai scritto “I bambini di Napoli” uno dei tuoi brani a mio avviso più belli, senza nulla togliere a tutti gli altri. Come mai hai deciso di affrontare un argomento così delicato e difficile? E dedicare quindi a loro una canzone?

Ho avuto modo di soggiornare a Napoli, e di assaporare una realtà unica, intensa, ma estremamente cruda. Napoli è una città meravigliosa che ti entra nel cuore, passionale, oserei dire carnale. Credo che oggi essere bambini sia difficile ovunque, ma credo lo sia ancora di più in una città come Napoli, dove anche gli occhi dei più piccoli hanno mille storie da raccontare.

Si parla oggi di tormentoni estivi, di canzoni per l’estate, per l’inverno, di crisi delle vendite del disco. Secondo te, ora che ti occupi di attività manageriale nella tua etichetta discografica, chi determina o ha determinato questi fattori? Cosa pensi dello scenario della musica italiana oggi?

Come ti dicevo prima a volte l’uovo di Colombo e’ proprio la semplicità e questo spiega il successo dei tormentoni estivi. Se vogliamo aggiungere che oggi la gente è carica di tensioni e problemi, oppressa da una crisi mondiale, tornando a casa la sera preferisce giustamente ridere, ecco che torna la maggiore attenzione ai prodotti cosiddetti “frivoli” anche nella musica.

La realizzazione del tuo sito ufficiale ormai on-line da quasi due anni, mi ha permesso di entrare in contatto con altre persone che di tanto in tanto mi scrivono dopo aver scaricato i tuoi mp3 o acquistato i tuoi cd, e nel descrivermi le loro impressioni sulla tua musica, ti affiancano ad una Paola Turci prima maniera, oppure a delle suggestioni alla Mia Martini…addirittura c’è stato chi, forse esagerando un po’, ma sicuramente per farti un complimento, ha visto nel binomio Marina Barone/Paolo Baldan Bembo (autore di buona parte delle musiche dei tuoi brani) la prosecuzione ideale di Mogol/Battisti. Ti ci ritrovi in questi nomi? Sono stati questi nomi per te una specie di “musa ispiratrice” per i tuoi brani?

Muse ispiratrici non ne ho, nel bene e nel male tutto ciò che e’ sempre uscito dalla mia penna e’ sempre nato da "fisime" mie. Sono lusingata da quanti mi hanno accomunata al magico duetto Mogol-Battisti, se qualcosa avessi mai assorbito da loro, EVVIVA, sarebbe il massimo.

Un artista (uomo o donna) italiano o straniero con cui vorresti o avresti voluto duettare o per il quale vorresti scrivere un brano.

Renato Zero.

Un interprete (uomo o donna) italiano o straniero che apprezzi in maniera particolare.

Renato Zero… e rimanendo sempre in ambito italiano apprezzo il modo di scrivere ed interpretare di Carmen Consoli, e’ molto personale, originale. Comunque amo tutta la musica, ultimamente le colonne sonore dei miei momenti di relax sono Sinatra e Michael Buble’.

Il testo di una canzone italiana che avresti voluto scrivere o cantare tu.

Avrei voluto scrivere gran parte delle canzoni di Renato Zero, ma anche "Teorema" una canzone meravigliosa, una poesia intramontabile, opera di un artista che oggi ho la fortuna di affiancare in veste di produttrice: Marco Ferradini.

"Fragili" il tuo ultimo album risale oramai a quasi 7 anni fa... è un addio o un arrivederci?

Nella vita meglio non dire addio, non si sa mai, però trovo alquanto improbabile che mi torni la voglia di ributtarmi nella giungla come interprete. Mi intriga di più muovere i fili da dietro le quinte. Del resto chi mi conosce lo sà, non ho diplomazia, non sono malleabile e sono anche un po’ “orsa”, doti poco adatte ad un artista…e credo di avere ancora molto da dare in veste di produttore.

Sito ufficiale di Marina Barone: http://digilander.libero.it/marinabarone contiene anche gli mp3 di 12 suoi brani: Conflitto d’amore, Il candore dei bambini, I bambini di Napoli, Cherchez la femme, Fragiles, Ti voglio dire, Abbiamo ancora un cuore, Quel che ti darò, Tokyo, Odio e amore, Conta su di te, Ayallallah, tutti scaricabili gratuitamente.