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Intervista a Marco Ferradini

Articolo di: Alberto Barina; pubblicato il 01/12/2005 alle ore 10:00:07.

Marco Ferradini

In collaborazione con le edizioni discografiche e musicali
Duck Record INC

“Week End”, “Schiavo senza catene”, “Teorema” e “Bicicletta” sono nate a Macugnaga, in montagna, durante un fine settimana di settembre del 1980. Io tra una passeggiata e l'altra raccontavo la mia storia e di sera intorno al camino creavamo con la chitarra quelle bellissime canzoni.

Anzitutto vorrei cominciare questa intervista facendoti andare un po’ indietro con gli anni e con i ricordi. Vorrei che tu ci parlassi di quel famoso q-concert (che qualche anno fa la BMG ha ristampato in versione cd) che ti vedeva protagonista assieme a Mario Castelnuovo ed a Kuzminak.

Era il 1982 e il capo dell'allora RCA Ennio Melis ebbe un'idea geniale: fare un album di soli quattro brani che permettesse con poca spesa di promuovere nuovi artisti. Ecco come nacque il famoso "Q Disc". Il "Q Concert" fu la naturale conseguenza. Fare dei concerti promozionali per farsi vedere, conoscere, ma invece dei soliti luoghi deputati alla musica noi ci esibivamo all'interno delle caserme dell'arma degli Alpini dislocate in tutta Italia, che per quell'occasione aprivano le porte al pubblico favorendo così il contatto tra i militari e la popolazione locale. Pensa, che negli anni a venire ho incontrato alcuni ex-militari che mi confidavano che grazie a quei concerti avevano conosciuto le loro future mogli e in ogni caso alleggerito la noia della naia. Per quanto mi riguarda quello è stato uno dei periodi più intensi e carichi di aspettative e poi suonare insieme ad altri artisti insegna sempre qualcosa.

Parliamo di S. Remo. Tu ci sei stato per la prima volta, correggimi se sbaglio, verso la fine degli anni ’70, la prima volta con il brano “Quando Teresa verrà”, che poi è stato uno dei tuoi primi successi. Che ricordo hai di quel periodo e di quel S. Remo? Come lo vedi (o lo vivi) invece il Sanremo attuale dei nostri giorni?

1978! Ma la prima volta che ho calcato il mitico palco fu l'anno prima in veste di corista con Paola Orlandi e le altre voci del suo coro. Non immaginavo che l'anno dopo mi sarei trovato io davanti a quel microfono a cantare insieme all'amico Simon Luca "Quando Teresa verrà". Poi ci sono tornato nel 1983 con "Una Catastrofe Bionda". Non ti nascondo che ci salirei volentieri di nuovo nonostante quel che si dice, che S.Remo non fa vendere dischi, che ha perso il suo ruolo ed il suo fascino, che è rischioso come una roulette russa. Ma per me è stato un momento indimenticabile!!! Perchè penso che tutto dipenda da come uno vive le proprie esperienze, dal valore che individualmente si dà alle occasioni nella vita. Voglio dire che io le ho vissute come devono essere vissute, come un'ubriacatura, uno stordimento dal quale poi è difficile riprendersi ma se non lo vivi così che senso ha farle?

“Teorema” è il tuo brano che ha riscosso maggior successo, è il tuo brano che tutti conoscono e cantano ed è oramai un vero e proprio evergreen, oltre ad essere uno dei brani più belli entrato di diritto nella storia della canzone d’autore italiana. Qual è il tuo rapporto o approccio con questa canzone a distanza di anni? Hai mai sentito un po’ pesare questa eredità di “Teorema” o, per meglio dire, ti sei mai sentito…”Uno schiavo senza catene” di “Teorema”?

Bello il giochino di parole. Siamo tutti schiavi della nostre catene che diligentemente quanto inconsciamente ognuno di noi costruisce giorno per giorno, la mia immagine musicale si è legata a quella canzone e dubito che possa liberarmene facilmente. In verità non ci penso mai. È un brano che considero ormai come non più mio ma di chi lo usa come "metodo comportamentale" nelle situazioni affettive. Ti dirò: penso sia stato meglio per me scriverlo che non farlo !!!

“Teorema” è stata “rivitalizzata” e citata qualche anno fa in un film di un noto trio comico o pseudo tale. Pensi che sia stata una scelta appropriata? Pensi che fosse inserita nel contesto “cinematografico” giusto?

Qualcuno anni fa mi contattò perché voleva trarne addirittura un film, ma poi non se ne fece più niente. L'uso che Aldo, Giovanni e Giacomo ne hanno fatto nel loro "Chiedimi se sono felice" mi è piaciuto molto perché l'hanno fatto con eleganza e poi loro sono veramente "forti". Mi piacerebbe poter scrivere la colonna sonora di un film perché è sempre stato il mio sogno nel cassetto. Non si sa mai…

L’altro giorno in una radio locale mi è capitato di risentire “Teorema” e subito dopo la programmazione ha trasmesso “La donna cannone” di Francesco De Gregori e non so bene per quale motivo ma, non solo la consequenzialità radiofonica ma la stessa magia e poesia di queste due canzoni le ha fatte sembrare per incanto impercettibilmente legate da una sorta di filo rosso (a proposito di Fili rossi!!!), come fossero due canzoni “cugine”. Che ne pensi, è possibile?

Penso che esista "un filo rosso" fatto di "sentire", "percepire"; stati d'animo che qualche volta diventano collettivi. Mi piace pensare che non sia stata una scelta casuale. Sicuramente chi ha unito questi due brani ha voluto trasmettere le proprie emozioni anche ad altri. E poi c'è da dire che brani così intensi nascono da una profonda voglia di comunicare con gli altri. Prendiamo la musica che si fa ora: i giovani artisti sono loro malgrado costretti a confrontarsi con un mercato distratto che non lascia spazio all'inventiva. Le case discografiche macinano e ingoiano talenti a cui è concessa una sola chance e quindi un po’ come succede con l'audience televisiva la qualità del prodotto è spinta verso il basso. Le canzoni diventano vuote di significati perché tutti sono alla ricerca della frase ad effetto, del jingle che colpisca l'ascoltatore al primo ascolto ecc. ecc.; è ovvio che in questo clima canzoni come si scrivevano una volta non nascono più.

Molti dei tuoi brani, mi sembra di capire, nascono da esperienze, sentimenti, sensazioni personali intensamente vissute, come per esempio “Week-end”… “senza le donne e senza la tv”. Ti va di parlarci di come sono nati alcuni dei tuoi brani più noti, lo stesso “Week-end” ma anche “Schiavo senza catene”, “Lupo solitario DJ” dove, tra l’altro, accanto a te ci sono, in veste di autori, altri nomi come Herbert Pagani.

È molto semplice, scrivo le cose che mi capitano, ecco il segreto. Con Herbert Pagani ho scritto i miei primi brani raccontando la mia condizione sentimentale di allora,descrivendo il momento travagliato di quando una storia si chiude ma non sai cosa succederà, come riuscirai a riprenderti, se ce la farai. Questi momenti sono stati immortalati dalla penna di Herbert in modo magistrale. Ad esempio “Week End”, “Schiavo senza catene”, “Teorema” e “Bicicletta” sono nate a Macugnaga, in montagna, durante un fine settimana di settembre del 1980. Io tra una passeggiata e l'altra raccontavo la mia storia e di sera intorno al camino creavamo con la chitarra quelle bellissime canzoni. Mi è capitato qualche anno fa di fare un concerto proprio a Macugnaga, nella piazza e mentre cantavo “Week end” sono stato sopraffatto dall'emozione, pensavo ad Herbert, a come se ne è andato…. e va beh! mi sono dovuto fermare perché non riuscivo a fermare le lacrime.

Tra le molte canzoni che hai scritto, ce n’è una che mi ha colpito in modo particolare e, che forse solo i fan più accaniti conoscono, visto che è un brano del 1978, e s’intitola “Gatto”. Non so bene per quale motivo ma, ogni volta che la ascolto, sia la musica che il testo, mi fanno venire in mente le ballate e certe atmosfere più vicine alle canzoni di Branduardi piuttosto che alle tue, in effetti è una canzone un po’ diversa dal tuo stile, Ce ne vuoi parlare, cercando di far un po’ di luce tra gatti, lupi, topi e pecore protagonisti del testo?

“Gatto”, è contenuto nel mio primo album che si chiamava "Quando Teresa verrà". Quasi tutte le canzoni di quel mio primo lavoro risentono dell'influenza e della musica che si ascoltava in quel periodo. Si riscoprivano le sonorità di certi strumenti medioevali quali il cromorno, la ghironda ecc. In quell'epoca suonavo con un gruppo che si chiamava "Yu Kung" ed eseguivamo ballate folk, gighe, brani irlandesi e della nostra cultura popolare: Alan Stivell, Faerport Convention ecc. erano punti di riferimento per i musicisti dell'epoca. Naturalmente era anche l'epoca delle canzoni impegnate politicamente: “Gatto” era una di queste. Il gatto è l'animale che più assomiglia e rappresenta la libertà di essere quello che sei, non sottomesso agli schemi, ai dettami di un partito e della sua ideologia.

La musica è… un mistero della vita, come del resto canti nel brano “Misteri della vita”; dove tra l’altro ipotizzi degli scenari musicali inconsueti: “Le grandi discoteche in orbita” ed un rimodernamento dell’inno nazionale. Ora, il parlamento italiano pare impegnato in altre faccende più spicce, che non proprio quella di pensare ad una nuova versione dell’inno di Mameli. Io ti chiedo, visti gli scenari musicali attuali e vista l’attuale realtà italiana, se venisse dato a te l’incarico di riscrivere l’inno nazionale come lo rifaresti? Di che melodia lo rivestiresti?

E' di pochi giorni fa la legge che ufficializza l'inno di Mameli come inno d'Italia, come a dire che in fondo non si era molto convinti del brano altrimenti l'avrebbero fatto prima. In verità, da musicista, non mi ha mai conquistato: è una marcetta più adatta ad altre epoche quando gli eserciti la facevano da padrone. Ci sono tante arie scritte da musicisti dell'epoca che meglio si adatterebbero a rappresentare la patria del melodramma; senza comunque nulla togliere al significato dell'inno che trovo giusto si conosca e si canti.

Esiste un confine tra musica e poesia?

Una volta bastava la parola per evocare contenuti, ora c'è bisogno della musica per renderla più intensa ed affascinante ed anche più facile da ricordare.

Hai avuto un contratto discografico con una importante etichetta discografica come la Bmg Ricordi ed ora sei passato ad una etichetta indipendente come la Duck Record. E’ Stata una tua personale scelta artistica? O è stata dettata dalla difficile situazione in cui versa il mercato discografico pertanto hai preferito allontanarti dai “Grandi colossi” multinazionali e lavorare con maggiore libertà?

Fare parte di una grande etichetta è solo un biglietto da visita per fare bella figura, fare colpo ma in sostanza piccola o grande che sia non fa differenza. Contano le persone che ti curano, che ti aiutano, che credono in te. Queste si trovano più spesso nelle piccole etichette che nelle major.

Parliamo ora un po’ delle tue canzoni più recenti. Sei sempre “Alla ricerca di un sogno”?

Più diventi adulto e meno sogni hai. Mi piace pensare che al momento della nascita hai una dotazione di sogni da realizzare nel corso della vita; qualcosa come una specie di combustibile che ti sprona a darti da fare con entusiasmo per realizzarli. Il fatto è che più ne realizzi e meno ne hai!. "Alla ricerca di un sogno" nasce dalla consapevolezza che la mia generazione era piena di sogni, utopie, quella attuale invece non ne ha.

A proposito di “Spade nella roccia”…quando componi una canzone ti senti più Dottor Jackill o Mr. Hide? E che mi dici della bellissima metafora: “Siamo il recipiente che ci alloggia”?

In "Spade nella roccia" parlo di come ognuno è artefice e schiavo delle proprie catene…canti una canzone che diventa famosa e quel brano ti si stampa addosso in modo indelebile. Siamo tutti spade nella roccia, ognuno di noi recita un copione domandandosi: "Ma io chi sono veramente? Quante volte faccio scelte volute e consapevoli e quante ne subisco? "Beh, da quando l'uomo ha cominciato a pensare la domanda se l'è sempre posta: "Chi sono io ?".

In “C’era una volta l’America” parli della grande America degli anni ’60, del blues, del rock eppure la melodia del brano è sospesa quasi ironicamente in un cha cha cha. Un brano vagamente estivo simile a quelli che uscivano dai juke-box negli anni ‘60 sulle spiagge dell’Adriatico. Come mai?

Ho seguito una regola che è quella di unire un testo significativo ad una musica "leggera" che facesse da contrasto: questo è il risultato. Si parla di un'America che è stato il sogno della mia generazione, un'America che è esistita solo in parte e per un breve periodo e che ora non c'è più.

“Mi piacerebbe avere un caravan, per un’estate più dinamica”… una curiosità, sei riuscito a comperarti questo caravan o è un sogno che si realizzerà a breve?

Ecco uno dei sogni che non ho ancora realizzato anche perché sarebbe difficile con il mestiere che faccio viaggiare su un camper e fare tutti i chilometri che normalmente percorro durante una tournèe. E' un sogno che tengo per tempi più tranquilli.

Penso che il tuo nuovo brano “Un filo rosso” possa essere il degno erede di “Teorema”. Tu che ne pensi?

"Un filo rosso" è forse la canzone più emotiva tra quelle che ho scritto, in questo assomiglia a "Teorema". Parla di distacchi, che possono essere a volte traumatici, porte che si chiudono ma che possono anche lasciare intravedere nuovi orizzonti. Sono le tappe di un percorso che ognuno prima o poi si trova a fare.

Cosa sentiresti di dire ad un giovane che vuole avvicinarsi al mondo della musica come autore, interprete o cantautore?

La musica ha bisogno di essere rispettata. E' un linguaggio troppo nobile per essere sfruttato, come spesso avviene, da mestieranti che poco la amano. Ecco cosa posso dire ad un giovane che si avvicina alla musica.

Leggi la recensione dell’album di Marco Ferradini: Filo rosso.

Web:
Sito ufficiale di Marco Ferradini
Duck Record

Un ringraziamento particolare per la grande sensibilità e disponibilità nella realizzazione di questa intervista a Marco Ferradini ed un ringraziamento per la cortese ed amichevole collaborazione di sempre a Marina e Bruno Barbone della Duck Record.