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Yo Yo Mundi - Album Rosso: canzoni d'amore, di lotta e di speranza (intervista a Paolo Enrico Archetti Maestri)

Articolo di: Gian Luca Barbieri; pubblicato il 02/03/2009 alle ore 14:27:19.

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''Album Rosso'', sedici canzoni per descrivere con intensita', ironia e emozione il disorientamento della sinistra e il desiderio di un'Italia migliore. Intervista a Paolo Enrico Archetti Maestri, cantante, chitarrista e fondatore del gruppo musicale Yo Yo Mundi.

Yo Yo Mundi - Album Rosso - cd cover

Sono passati ben sei anni dall'uscita dell'ultimo cd di canzoni originali degli Yo Yo Mundi, che nel frattempo hanno realizzato dischi a nostro avviso di notevole fascino e importanza quali "Sciopero", "54" e "Resistenza". Nella pregevole collana dei CD del Manifesto presentano ora "Album rosso", che contiene ben sedici brani inediti e in cui la band si avvale della collaborazione di importanti ospiti quali Patrizia Laquidara, Steve Wickham (violinista dei Waterboys), Massimo Carlotto (autore del testo "E a un certo punto il rosso cambiò colore"), Marco Rovelli (voce e coautore di "Anarcobaleno", ex cantante di Les Anarchistes ora dei Libertaria), Paolo Bonfanti (chitarra) e Maurizio Camardi (fiati).

Disco importante, impegnato, ben suonato ed eseguito con cura di ogni particolare, in linea con la produzione precedente del gruppo. Abbiamo contattato Paolo Enrico Archetti Maestri, che ci ha rilasciato questa intervista.

Qualche domanda iniziale sui testi delle vostre canzoni. Il palombaro "avaro con il fiato che gli resta da respirare": un testo autobiografico, suggestivo, inquietante. Puoi descrivere cosa ti spinge a paragonarti ad un palombaro che sonda il fondo degli abissi, e non ad esempio a un uccello che si libra nel cielo?

Intanto è bene dire che sono gli Yo Yo Mundi tutti che si paragonano a un palombaro! Io ho solo offerto la traccia e la suggestione iniziale poi come sempre gli Yoyo si sono "calati negli abissi più misteriosi" di questa canzone (mai come in questo caso!). Volendo il brano è anche il manifesto liquido di un pensiero, ad esempio quando il Palombaro comunica al mondo che "di stare a galla a tutti costi proprio non gli va". Non ci è mai piaciuta l'idea di emergere a qualunque costo (e costi quel che costi) e non facciamo parte di quei fenomeni da baraccone che la sposano in nome della competizione.

E meno che mai ci piace l'idea di galleggiare, insomma di solito galleggiano escrementi e cadaveri! Noi si nuota curiosi e – quando non ci limita la paura – scendiamo temerari verso l'abisso x cogliere ispirazione, per farci suggerire, per emozionarci. E lo facciamo cercando di non sprecare "il fiato che ci resta da respirare", che "in fondo" è non dare niente per scontato negli affetti, nella coerenza, nel lavoro e, ne siamo convinti, anche gustare ogni aspetto della vita e del vivere, amarne ogni età e ogni giro di ruota, costruendo un percorso di luce che gioco forza è molto più luminoso quando si è appena ritornati da un'intensa e appagante esplorazione sui bordi dell'abisso. E poi in qualche modo questa canzone prosegue la nostra ricerca della "bellezza dei margini" (e i margini in questo disco sono più volte citati).

Noi siamo convinti che la bellezza vada ricercata nel punto di incontro, nei confini, nei margini appunto, perché è lì che ci conclama in tutta la sua energia benefica, nell'esatto momento in cui si colora d'altro e d'altri. E non nel "grande centro illuminato a giorno" come ci viene insufflato da questa nostra epoca popolata di gente per niente rispettosa, anzi acerrima nemica delle differenze, delle peculiarità, della specificità. E' un mondo che tende allo standard e le luci che lo illuminano sono fatue e menzognere. Puntano i fari solo su chi vende e chi si vende. Ma la vera luce è altrove.

"Il funerale del clown" mi sembra essere una canzone centrata sul riso, sulla sua presenza inflazionata e svuotata di senso e sulla sua impossibilità. Ne puoi parlare?

Io da tanto tempo desideravo scrivere una canzone che raccontasse di uno spostamento di genti, una canzone dove ci fossero tanti protagonisti riuniti in un rito, in un corteo o in una processione. E d'improvviso mi è venuta in mente la figura del clown. Se lui morisse chi andrebbe al suo funerale? Come cambierebbe il nostro mondo? E da qui tutto si è rivelato. Risate sguaiate, volgarità, comicità disequilibrata e saltabeccante. Quello che ci ospita è un mondo compromesso nelle mani del burattinaio delle telecomunicazioni, che qui è ribattezzato il Mostro dei Sorrisi. Lui è il peggiore tra i nemici del nostro Clown che sentitosi inutile e ormai sconfitto decide di farla finita, perché: "non ha senso vivere se non c'è niente da ridere".

E' un'epoca dove la tristezza che ci circonda viene coperta da risate finte ed esagerate (pensa a quanti programmi le hanno registrate!), fuori luogo, isteriche. Invece avremmo, anzi abbiamo bisogno del Clown che conosce l'equilibrio tra la malinconia e la gioia di vivere, tra la vita e la morte. Che non ci nasconde nulla tanto è trasparente, ma ci insegna l'arte del sorriso. Insomma questa canzone non finisce qui… ci sarà un seguito, qualcuno afferma – una bambina per la precisione – che il Clown non è morto davvero e che la bara alla testa di questo corteo multicolore è vuota (li vedete tutti hanno messo un naso rosso in onore del Clown!). Il Mostro dei Sorrisi avrà presto un clamorosa colorata sorpresa! Insomma al di là del titolo e del testo, questa è una canzone di lotta e di speranza – e anche d'amore! - come molte tracce del nostro Album Rosso. E' c'è pure una farfalla che vola… ed è il meraviglioso violino di Steve Wickham!

Perché è "meglio sentirsi un superstite… che vestire i panni di un reduce", come dici in "Domenica pomeriggio di pioggia"?

E' una scelta ben precisa. Non mi piace la figura del reduce, è doppia, bifida, il superstite è uno che ha combattuto x qualcosa – anche solo x la sua vita – ed è riuscito a sopravvivere agli accadimenti, è uno che si è scelto la parte alla faccia degli scherzi del caso e del destino. Il reduce è qualcuno che una volta smesso di combattere, ritorna a casa e vuole esere adulato per quel che ha fatto, e ritiene che si possa passare da uno stadio all'altro senza curarsi delle idee che hanno mosso i suoi passi e, soprattutto, giustificando sempre tutto il suo operato (Ti ricorda qualcuno?). Il reduce non commette sbagli… mai! E' sempre colpa d'altro e di altri! Il superstite non ha problemi ad ammettere i suoi errori, ma soprattutto, a differenza di molti reduci, non tradisce la parte che si è scelto. E che, a volte, l'ha scelto. Il superstite è testimone dei suoi tempi, ed è memoria viva. Il reduce ha la memoria corta e vuole riscrivere la storia. Noi vorremmo modificare la strutture, aprire la gabbia, sfatare i luoghi comuni e non cambiare pelle ad hoc ed adattarci per convenienza. L'Italia è piena di reduci e di ex, noi siamo e saremo sempre e per sempre dei superstiti.

Una domanda d'obbligo: Come considerate l'impegno, o meglio, come si declina l'impegno attraverso una canzone e quali possibilità ci sono di fare breccia nel "mare di ghiaccio" che avvolge il sentire di tante persone?

La canzone senza impegno è una filastrocca buona per giocare, e in questo caso ci piace anche molto (ma, ad esempio, le filastrocche di Gianni Rodari erano e sono solo apparentemente leggere!), ma quando la canzone, svuotata di contenuti, diventa un mezzo del potere di turno per rinsecchire le coscienze, allora ci fa paura. Noi crediamo che la musica non sia sottofondo, la musica si ascolta in silenzio con attenzione e partecipazione. Dentro la musica ci sono mille sfumature e, quando c'è un testo tutte le sensazioni e i messaggi si moltiplicano. Si ascolta ad occhi chiusi, ma con le orecchie aperte (e la bocca dovrebbe rimanere chiusa!). Basta svilire la musica col chiacchiericcio e i rumori di fondo, ecco perché noi preferiamo suonare in teatro!!! Ti faccio un esempio: noi amiamo cucinare e pensiamo che quest'opera non differisca dalla musica.

Il nostro concerto o disco non è solo un piatto o un genere o un gusto, deve essere un vero e proprio banchetto capaca di offrire sapori assortiti, inediti e differenti, il pubblico deve poter gustare ogni piatto e noi essere bravi a dosare gli ingredienti e i profumi e mai affrettare il servizio delle portate. La musica commerciale è il fast food, gusti plastificati morsicati in ambienti asettici. Che ingoi, digerisci e defechi con un piacere ogni volta ridotto fino a diventare un'abitudine simile a quella di chi è costretta a prendere medicine ogni giorno. Il risultato è l'appiattimento del palato e la rimozione forzata dei sogni (anche le luci al neon uccidono i sogni!). E non è forse questo che vuole il potere delle multinazionali o il potere di turno? Consuma e non farti domande, non rompere i coglioni, non chiedere ciò che ti spetta, assopisciti in una quotidianità molle lontana dei ritmi della vita, lontana dai valori della cultura e dell'etica. E' forse questo " buio della coscienza che genera mostri"? Si. Ogni genitore che porta il figlio in un fast food commette un piccolo grande disastro. Uccide la cultura di domani e ammorba la meravigliosa spugna che ogni bimbo è, di materie tossiche e inquinanti per la testa e il corpo. Detto questo come è possibile non cantare tutto questo, con urgenza e allarme, come è possibile non capire che ogni artista deve essere un pericolo per il potere di turno? Che ogni artista deve far qualcosa per far invertire la rotta alla presunta civiltà in questo mondo che si sta autoimplodendo (pensiamo a quanti esseri umani senza diritti, quanto inquinamento, quanta disperazione)?

Noi non suoniamo solo per qualcosa o per noi stessi – anche se questo è il nostro mestiere e ne siamo molto orgogliosi -, suoniamo per qualcuno e per gli altri. Quando ci domandano il perché di tutto questo "impegno" nelle nostre canzoni la risposta è sempre: ma hai dei paraocchi o ti accorgi di quello che sta succedendo? I gruppi e gli artisti che scrivono canzoni attingendo dai loro diari di sensazioni raccolte nel marasma della post adolescenza (pur avendo passato i quaranta) o quelli che si prestano ad asservirsi al potere mediatico di turno con canzoni di facile consumo ci fanno orrore. E dunque o sono ciechi o sono i complici ben pagati di questo disfacimento. Noi abbiamo scelto un'altra strada, ma attenzione abbiamo coscienza di vivere in una civiltà consumistica e, seppur cercando alternative, sappiamo anche che è difficile non cadere nelle trappole dei "tibidabo" del diavolo di turno, facciamo un bel lavoro di differenziata ecco, e cerchiamo di migliorarci senza diventare dei fondamentalisti. E dunque nel nostro banchetto sonoro si troveranno i gusti aspri e quelli sapidi, ma certamente anche molti dolci e bevande succose da far girare la testa. Gioia di vivere e rivoluzione!

Come si pongono i vostri progetti come "54", "Sciopero" e "Resistenza" con il resto della vostra produzione?

Sono a tutti gli effetti la nostra produzione! Se pensi che in questi sei anni tra "Alla bellezza dei margini" e "Album Rosso" quello è stato ciò che abbiamo realizzato e portato in giro (insieme al reading "Ho visto cose" e allo spettacolo teatrale "Fuoriusciti" e le due sonorizzazioni "Chang e la giungla misteriosa" e "La Caduta di Troia"). Anni fa abbiamo scelto di uscire dal binario "disco di canzoni-tour" e lo abbiamo fatto soprattutto grazie a Sciopero che fu una vera folgorazione e che, oltre ad essere il primo lavoro post major (loro l'avevano rifiutato!!!), è diventato uno spettacolo che ci ha garantito un pubblico nuovo (130 repliche a oggi delle quali 4 a Londra) ci ha portato ad essere molto conosciuti anche all'estero (con la soddisfazione impagabile di due tour in UK e diverse recensioni molto lusinghiere), e, infine, è a tutti gli effetti uno dei nostri dischi più venduti, amati e richiesti.

E poi anche per altri motivi, ad esempio avevamo capito che l'onda degli anni '90 andava esaurendosi, si era ormai ripiegata su se stessa. I nostri coetanei avevano acceso computer e tv e ingrigito i sogni (hanno la tv in camera da letto come i nostri genitori! Argh!!!). Hanno fatto la rivoluzione alzando la polvere durante qualche concerto negli anni '90 e adesso sono molto stanchi! E il consumismo annulla e confonde. Il qualunquismo ammanta e avvolge. Insomma molti dei nostri coetanei insieme a certi fratelli maggiori hanno contribuito a generare quel mondo orribile di privazioni e di nuovi fascismi che ci opprime e che, sempre, di più ci mangerà gli occhi negli anni a venire. Altri tra loro non lo hanno difeso abbastanza, lasciandosi irretire dal buonismo imperante che li ha disarmati d'ogni energia e di molte speranze (E pensa che i migliori sono quelli che si soffocano nella nostalgia dei bei tempi andati!!!).

Insomma sono dei reduci anche loro e, ormai, se ne fottono degli altri e della musica. E allora noi abbiamo deciso di rivolgerci ai superstiti di qualunque età e a tutti i curiosi del mondo – la curiosità tiene vivi!!!! – e lo abbiamo fatto mettendo tutte le nostre passioni al servizio della nostra musica. Libri, arte, personaggi, la contaminazione, storia e memoria, il cinema, l'amore per l'ambiente, i diritti civili e umani sono alcuni semi del nostro orto artistico e sono gli ingredienti ideali per le nostre composizioni. A questo aggiungici che amiamo intrecciare la nostra esperienza con altri artisti (senza passare dai loro cavolo di manager, senza fare i conti con l'opportunismo e le opportunità!) dagli una bella shakerata, et voilà! E' così che nascono spettacoli, progetti, dischi degli Yo Yo Mundi!

Il pubblico: nel vostro progetto musicale-culturale avete un'idea precisa del pubblico a cui vi rivolgete o non è un problema che vi ponete? E quello che frequenta i vostri concerti come si caratterizza?

In qualche modo ti ho risposto già prima, ma posso confermarti che il nostro pubblico è molto eterogeneo, molto aperto, molto curioso. E oprattutto gemello della nostra proposta artistica e dunque non cristallizzato. Noi si cerca e si sogna. Sperando di muovere il pensiero e il nostro pubblico è un pubblico che non ha paura della vita, che non timore quando gli viene chiesto di non rimanere immobile tra le spire dei piaceri consolidati, ma si fa prendere per mano e intraprende il viaggio insieme a noi. Insomma per parafrasare un celebre aforisma: noi e il nostro pubblico non ci guardiamo negli occhi (che noia!!!!), ma guardiamo entrambi nella stessa direzione.

Un'ultima domanda: la connessione tra il testo e la musica nelle vostre canzoni come nasce, come viene pensata e soprattutto è il risultato di una collaborazione di tutto il gruppo?

Le canzoni nascono in modi sempre diversi e differenti. A volte semplicemente accadono. Altre volte ti vengono a cercare perché hanno bisogno di uscire all'aria aperta, di farsi respirare. E, naturalmente, c'è la mano di ognuno di noi da un punto di vista strettamente musicale, tutti si contribuisce per quota alla crescita di un brano o di una canzone, che una volta registrata, pur non rimanendo mai materia immobile, è il risultato della sintesi delle nostre esperienze artistiche. Rispetto alla scrittura pura, al germoglio da quale sboccerà una canzone è bene dire che io sono uno degli Yo Yo Mundi e noi siamo in cinque, ma io scrivo ascoltando tutti i pensieri che maturano dal nostro quotidiano confronto e scrivo per questa nostra piccola comunità. Questo è possibile grazie alle nostre sensibilità vicine, ma differenti. Se scrivessi solo per me le canzoni sarebbero simili, forse, ma senz'altro diverse da quello che sono ora. Dentro le mie - e dunque nostre canzoni - ci sono molti dei nostri sogni e delle nostre paure, qualche intuizione e tanti racconti, e, soprattutto, molta memoria personale e collettiva.

Negli anni ho imparato a scrivere attingendo da questo nostro speciale patrimonio. Cercando di non dimenticare le sfumature o certe curve che qualche yoyo mi comunicava e suggeriva. Vedi un cantastorie ascolta, impara le storie e poi dopo averle rielaborate le racconta a tutti trasformandole in canto. Ma quelle storie non diventano mai la sua proprietà. Le canzoni degli Yo Yo Mundi sono di chi le sogna e di chi le ha sognate. E quando incontri qualcuno che ti parla di una tua canzone che lo ha emozionato e ha gli occhi che brillano, in quel momento capisci che quel sogno è stato sognato anche da altri. E il cerchio si chiude – anche se a me piace pensare che si tratti più di un percorso a spirale -. Il germoglio che hai curato e cresciuto si è fatto frutto e tutti possono gustarlo e nel mix di sapori inediti e conosciuti, molti si riconoscono, si ritrovano. E' così che la tua-nostra canzone torna alla terra fertile da dove è scaturita e diventa patrimonio comune e, a volte, memoria.

Video: Il giorno in cui vennero gli aerei

Link: Yo Yo Mundi - Sito Ufficiale.